L'intervista al regista
Testo dell'intervista rilasciata da Daniele Rosato (*) sul settimanale: "Corriere Padano",
il 12 febbraio 1993 .
.... da principio, le finalità non erano nemmeno molto chiare, e l'unico elemento aggregante poteva essere riconosciuto nella tanta, naturale voglia di mettersi in gioco, e misurarsi con un mondo troppo affascinante per non esserne irretiti anche al primo epidermico contatto; successivamente attraverso una graduale crescita collettiva, si sarebbe arrivati a raccogliere numerosi applausi, come nella recente rappresentazione del " Woyzeck" al San Matteo, in collaborazione con Amnesty International, e a nutrire qualche robusta e giustificata speranza per il futuro.
Nell'animare gli incontri, Rosato pur forte di un curriculum già degno di rispetto, era, altresì, armato della passione tipica del dilettante, nonchè di un sano orrore per ogni tipo di divismo.
Dopo che fu placata la voglia di misurarsi con il linguaggio, acquisite le nozioni fondamentali, risultò impossibile soffocare la voglia di affrontare il palcoscenico; il pugno di amici che si incontrava in maniera del tutto anonima alla sera, si scoprì spontaneamente compagnia teatrale, e con tanto di nome: Quarta Parete, come quella virtuale parte di scenografia che si troverebbe a dividere gli interpreti dal pubblico.
... nelle prime opere si riconosce sicuramente l'assenza del ruolo del cosiddetto mattatore; di colui, cioè, che si carica interamente lo spettacolo sulle spalle e lo svolge fino alla fine.
Questa scelta rivela la particolarità della compagnia Quarta Parete, visto che nei suoi spettacoli l'importanza di lavorare insieme, del sentirsi propriamente una realtà collettiva, spinge il gruppo al punto di rinnegare il ruolo dell'attore principale, e di portare tutti i partecipanti il più vicino possibile ad un piano di pari importanza narrativa.
"Da noi non ci sono tali gerarchie; - dice lo stesso Rosato - il nostro progetto ha alla base l'essere gruppo fino in fondo; c'è spazio per tutti in ugual misura, e nessuno viene ridotto a declamare il classico: 'Il pranzo è servito!".
Queste dichiarazioni, oltre a costituire uno sbandieramento orgoglioso del proprio dilettantismo, mettono in luce come per Quarta Parete, più che il bisogno della gratificazione, dell'applauso, sia urgente il bisogno di creare uno spazio, una zona franca nella quale sia possibile sentirsi vitali, pronti a mettersi in discussione, e ritrovare nella parola stimoli ed emozioni sempre nuove. Inutile negare che, in questo senso, la situazione piacentina non è delle più prodighe, soprattutto per una squadra sprovvista di managers e di appigli vari; succede, allora, che i nostri eroi debbano vedere ogni loro spettacolo che fanno, come una sfida per la sopravvivenza, o come l'unico lasciapassare per quelli che verranno in futuro.
.... I testi rappresentati hanno come filo comune la distruzione degli stereotipi, e la speranza che dalle macerie possa risorgere una nuova vita, ma, soprattutto, fanno parte di quel teatro della parola tanto caro a Quarta Parete: dove, cioè, scene, luci e costumi hanno un'importanza quasi accessoria.
"Per me il teatro di basa molto più sulla parola che sull'immagine. La parola va sviscerata; bisogna cercare di coglierne l'essenza: io non ho la presunzione di saperlo fare - dice sempre Rosato - però è certo che, se scritta bene, se ha dei buoni contorni, ha una potenzialità smisurata; di far pensare, di svegliare delle considerazioni individuali, in tutti coloro che non si sentano pubblico passivo".
Per Quarta Parete, la parola è come uno specchio dell'anima, che, se c'è, è inesauribile e proteiforme. Ogni rappresentazione è una storia a sè, e quindi sempre diversa; soprattutto non bisogna adagiarvisi, sopra la parola, ma sperimentare in continuazione la capacità di controllo che si ha su di essa.
"Per creare la giusta atmosfera, non è necessario essere Gassman; può farlo anche il vicino di casa, se ha affrontato il lavoro con serietà. Ecco: noi siamo dei vicini di casa cresciuti."
(*) pseudonimo di Tino Rossi
Giorgio Betti
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